Mondo

È ora che nella crisi intervenga l’Onu. Gli aiuti non bastano

"In questi conflitti la dimensione umanitaria oscura la politica. Invece occorre andare alla radice del problema. Con i caschi blu".

di Daniele Scaglione

In Uganda esiste un ministero per la ?preparazione ai disastri? simile alla nostra Protezione civile, ma chiamarlo così è forse più appropriato alle tragedie di quel Paese. Solo che la parola ?disastro? fa pensare a calamità naturali, come inondazioni o terremoti, mentre i problemi dell?Uganda di oggi sono causati in tutto e per tutto dagli esseri umani. La guerra nel Nord, che si protrae da quasi diciotto anni, è dovuta all?Esercito di liberazione del Signore guidato da Joseph Kony, anche se attribuire tutte le responsabilità a costui – che dice di agire in nome di Cristo, ma che il giorno del giudizio dovrà solo sperare che la misericordia di Gesù sia davvero grande – sarebbe limitativo. Qualcuno lo sostiene, qualcuno lo arma, e tra costoro vi è il governo del Sudan, che a sua volta riceve armi dalla Russia.
Ai primi di giugno l?Uganda ha ottenuto qualche riga sulle agenzie, quando il suo presidente Museveni ha partecipato alla riunione del G8 di Savannah. La strage del 17 maggio, quella di cui Vita ha pubblicato le foto la settimana scorsa, era già avvenuta ma non sembra che abbia occupato molto spazio nelle discussioni tra i potenti della Terra. D?altra parte, senza suscitare grande interesse, già a ottobre dell?anno scorso le organizzazioni per i diritti umani denunciavano la presenza di un milione e duecentomila sfollati a causa del conflitto. George W. Bush in Uganda c?è andato nel luglio dell?anno scorso, un mese dopo che la guerra si era ulteriormente estesa ai distretti di Katakwi, Soroti e Kaberamaido. Ma il presidente degli Stati Uniti era lì soprattutto per ringraziare Museveni di aver firmato il trattato con cui si impegna a non consegnare al tribunale penale internazionale soldati statunitensi sotto inchiesta che dovessero trovarsi sul suo territorio.
Secondo un copione ben noto, il conflitto ugandese si protrae in una spirale perversa contro i civili. Per difendersi dalle squadracce di Kony si sono costituite bande giovanili di vigilantes con nomi come Arrow Boys e Rhino Boys, e per costringere i ribelli a venire allo scoperto l?esercito regolare ha dato il via a bombardamenti che hanno fatto un gran numero di vittime tra i non combattenti. Per scongiurare il reclutamento forzato dei loro figli (l?esercito di Koni è composto per circa il 90% di giovani rapiti), ogni giorno al calar della sera i genitori dai villaggi li mandano a dormire all?aperto, in città distanti anche cinque chilometri.
In conflitti come questi spesso la dimensione umanitaria oscura quella politica. Aiutare i profughi, fornire le cure mediche per le tantissime donne infette dall?Aids a seguito di stupro è indispensabile. Ma è necessario che l?Onu, l?Europa, gli Stati Uniti vadano alla radice del problema e cerchino di risolvere in modo definitivo il conflitto. Occorre l?arma della diplomazia, certamente, ma la priorità sarebbe l?allestimento da parte dei Paesi più potenti di una missione di caschi blu in grado di proteggere le persone tanto dalle aggressioni dei miliziani di Kony, quanto dagli interventi dell?esercito leale a Museveni.

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